Ricorso  della  regione  autonoma  Valle  d'Aosta,  in persona del
 presidente della  giunta  regionale  pro-tempore  Augusto  Rollandin,
 giusta delibera della giunta 26 gennaio 1990, n. 838, rappresentata e
 difesa - in virtu' di procura speciale  per  atto  del  notaio  Guido
 Marcoz,  in  Aosta,  del  26 gennaio 1990 (rep. n. 86483) - dall'avv.
 prof.  Sergio   Panunzio,   e   presso   quest'ultimo   elettivamente
 domiciliata  in  Roma, piazza Borghese n. 3, contro la Presidenza del
 Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente  del  Consiglio  in
 carica,  per  la dichiarazione di incostituzionalita' degli artt. 18,
 19 e 20 del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415, recante "Norme urgenti in
 materia  di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le
 regioni, nonche' disposizioni varie".
                               F A T T O
    E'  ben  noto  che  l'autonomia  delle regioni e delle province di
 Trento  e  Bolzano  trova  il  suo  essenziale  supporto  nella  loro
 autonomia  finanziaria.  Onde  -  come  e' stato affermato da codesta
 ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21/1956 - le  regioni  e  province
 autonome  hanno  un "diritto costituzionalmente garantito" a disporre
 dei mezzi finanziari occorrenti per le spese necessarie ad  adempiere
 alle  loro  normali  funzioni. Un diritto che, nel caso della regione
 ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che  nell'art.  119  della
 Costituzione)  nello  statuto  speciale della regione Sardegna (legge
 costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), spec. artt. 7 e segg. (titolo
 terzo)  anche  in  relazione agli artt. 3 e 6, e nelle relative norme
 d'attuazione.
    Se  poi  si  considera  come  anche  per  le  regioni ad autonomia
 speciale e per le due province autonome di  Trento  e  Bolzano,  gran
 parte  delle  loro  risorse finanziarie sia costituita da una finanza
 "derivata",  e  cioe'  consistente  nei  periodici  trasferimenti  di
 risorse  da  parte  dello  Stato,  ben  si comprende come non solo la
 quantita', ma anche  la  regolarita',  la  tempestivita'  e,  in  una
 parola,  la  affidabilita'  di  tali trasferimenti sia essenziale per
 garantire alle regioni e province autonome  una  effettiva  autonomia
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  il  buon andamento delle loro
 amministrazioni  e  dei  servizi  pubblici  di  loro  competenza,  la
 programmabilita' della loro azione.
    E' esemplare, a questo riguardo, il caso delle attivita' regionali
 e provinciali in materia di  sanita',  la  cui  spesa  e'  alimentata
 essenzialmente   dai  trasferimenti  annuali  provenienti  dal  fondo
 sanitario nazionale. Proprio in  relazione  a  tale  settore  codesta
 ecc.ma  Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal
 rispetto dei valori costituzionali) che gli interventi  dello  Stato,
 vivi  compresi  quelli  finanziari, siano improntati ad organicita' e
 stabilita'. In particolare nella senteza n. 307/1983 essa ha rilevato
 come  "il  susseguirsi  di  anno in anno di provvedimenti a carattere
 contingente, in deroga alla disciplina  ordinaria  renda  quanto  mai
 disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale";
 e poi nella sentenza n. 245/1984 - a proposito delle disposizioni  in
 materia  sanitaria contenute nella legge finanziaria 1984 - osservava
 come per dare una disciplina organica e per assicurare efficienza  al
 servizio  sanitario  nazionale  "non  servono  allo  scopo  le  leggi
 finanziarie, ne' gli  altri  provvedimenti  di  carattere  urgente  o
 comunque  contingente:  la'  dove  sono  in  gioco funzioni e diritti
 costituzionalmente previsti e garantiti,  e'  infatti  indispensabile
 superare  la  prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica,
 per assicurare la certezza del diritto ed  il  buon  andamento  delle
 pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a
 durare nel tempo".
    Tali  ammonimenti,  come  e'  evidente, come e' evidente, hanno un
 valore che va' al di la'  del  solo  settore  sanitario,  poiche'  il
 problema  cui  essi  si  riferiscono  riguarda  in  genere  tutte  le
 attivita'  di  competenza  regionale  e  provinciale,  che  risultino
 condizionate  da  scelte dello Stato e da trasferimenti finanziari da
 questo operati. Ma si tratta di ammonimenti  ai  quali  lo  Stato  e'
 stato  sino  ad  oggi  sordo.  In  particolare per quanto riguarda il
 servizio e la spesa sanitaria  lo  Stato  ha  continuato  ad  emanare
 tentativi  di  riforme peraltro abortite (i dd.-ll. 25 marzo 1989, n.
 111, e 29 maggio 1989, n. 189,  non  convertiti  dal  Parlamento)  ed
 interventi  "tampone" di vario genere, ma per lo piu' adottati con lo
 strumento improprio del decreto-legge (nonostante i moniti che, anche
 a  proposito  del  cattivo uso di tale strumento, sono stati fatti da
 codesta ecc.ma Corte  -  sentenza  n.  245/1984  -  e  nonostante  la
 rigorosa disciplina oggi stabilita dalla legge n. 400/1988).
    E'  una strada sbagliata, questa, sulla quale lo Stato ha compiuto
 di recente un ulteriore passo, assai grave. Ci si riferisce, appunto,
 al  d.-l.  28  dicembre  1989,  n.  415  (pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1989) di cui al presente  atto.  Non
 riuscendo,  da  un lato, a portare avanti in Parlamento il disegno di
 legge sulla  autonomia  finanziaria  delle  regioni  e  sui  rapporti
 finanziari  fra  lo Stato e le regioni e province autonome (una delle
 leggi "di accompagnamento" della legge finanziaria  1990)  e  volendo
 comunque realizzare in qualche modo dei tagli alla spesa pubblica, il
 Governo ha pensato bene di  adottare  un  provvedimento  -  quale  e'
 appunto  il  suddetto decreto-legge - che, come ora si vedra', e' per
 vari aspetti censurabile.
    Di  tale decreto-legge viene in evidenza, in primo luogo l'art. 18
 ("Riduzione di fondi per le regioni  a  statuto  speciale  e  per  le
 province  autonome").  In  particolare al primo comma esso stabilisce
 che a partire dal 1990 cessa la corresponsione alle  sole  regioni  a
 tatuto  speciale  ed alel province autonome di Trento e di Bolzano di
 una serie di fondi, e cioe':  il  fondo  comune  per  i  servizi  dei
 consultori  familiari,  ivi compresi quelli relativi all'interruzione
 volontaria della gravidanza (di cui all'art. 5 della legge 29  luglio
 1975,  n. 405, e art. 3 della legge 22 maggio 1978, n. 194), il fondo
 speciale per l'esercizio delle funzioni gia' ex  O.N.M.I.  trasferite
 (di  cui  all'art. 10 della legge 23 dicembre 1975, n. 698), il fondo
 per gli asili nido (di cui all'art. 1 della legge 29  novembre  1977,
 n.  891,  ed  art. 2 della legge 6 dicembre 1971, n. 1044). Sempre lo
 stesso comma primo dell'art. 18, nella sua ultima  parte,  stabilisce
 che  "Le predette regioni sono altresi' escluse dal riparto del Fondo
 nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende  di
 trasporto  di  cui  all'art.  9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, e
 provvedono alla concessione dei contributi alle aziende di  trasporto
 con  propri  mezzi finanziari. Restano comunque fermi per le medesime
 regioni i principi di cui alla legge 10 aprile 1981, n. 151".
    Il  successivo art. 19 del decreto-legge reca il titolo "Riduzione
 del Fondo sanitario nazionale per le regioni a statuto speciale e per
 le  province  autonome".  Esso  al  primo  comma  stabilisce  che  "A
 decorrere dall'anno 1990 alle  regioni  a  statuto  speciale  e  alle
 province  autonome  di  Trento  e di Bolzano le assegnazioni di parte
 corrente del Fondo sanitario nazionale sono ridotte, tenuto conto del
 livello  delle  compartecipazioni  ai  tributi  statali risultanti da
 rispettivi ordinamenti,  del  20  per  cento  per  la  regione  Valle
 d'Aosta,  e  per  le province autonome di Trento e di Bolzano, del 10
 per cento per le regioni Sicilia e Fiurli-Venezia Giulia e del 5  per
 cento per la regione Sardegna".
    Il  secondo comma dello stesso art. 19 stabilisce poi che "Ai fini
 della ripartizione del Fondo santario nazionale di parte corrente  il
 CIPE,  per  l'anno  1990,  fa riferimento all'importo complessivo, al
 lordo delle riduzioni di cui al primo comma,  valutate  in  lire  970
 miliardi".
    Infine  vi  e'  l'art.  20,  che  reca il titolo "Esclusione delle
 regioni a statuto speciale e delle province autonome da taluni  fondi
 settoriali".  Esso  cosi'  recita  nel suo unico comma: "Le regioni a
 statuto speciale e le province autonome di Trento e di  Bolzano  sono
 escluse, a partire dal 1990, dal riparto dei seguenti fondi:
       a)  fondo  per i programmi regionali di sviluppo a destinazione
 indistinta di cui all'art. 9 della legge 16 maggio 1970, n.  281,  al
 netto  della  quota spettante ai sensi della legge 30 maggio 1965, n.
 574;
       b)  fondo  per  l'attuazione  degli  interventi  programmati in
 agricoltura di cui all'art. 3, primo comma, della  legge  8  novembre
 1986,  n.  752,  al  netto delle somme spettanti ai sensi del secondo
 comma del predetto art. 3;
       c)  fondo per l'attuazione del piano forestale nazionale di cui
 all'art. 6 della legge 8 novembre 1986, n. 752;
       d)  fondo  per  gli  investimenti  nel  settore  dei  trasporti
 pubblici locali;
       e) fondo sanitario di conto capitale".
    Si  tratta, come e' evidente, di una disciplina sotto vari aspetti
 censurabile e lesiva delle  autonomie  regionali  e  provinciali.  In
 primo luogo perche' essa costituisce un ennesimo esempio di quel tipo
 di intervento contingente e disorganico che non e' ammissibile in una
 materia   cosi'  delicata  e  costituzionalmente  rilevante.  Inoltre
 perche' esso, operando dei tagli tanto consistenti quanto irrazionali
 ai  trasferimenti finanziari rigurdanti le regioni a statuto speciale
 e le province autonome di Trento e Bolzano, in relazione ad attivita'
 e  spese che peraltro queste debbono comunque effettuare (per vincolo
 costituzionale o di legge dello Stato), lede l'autonomia  degli  enti
 stessi:  sia quella finanziaria sia quella "funzionale" (costringendo
 in ogni caso gli enti  a  coprire  quelle  spese  sottraendo  proprie
 risorse   finanziarie   ed   altre   destinazioni   e  comprimendo  e
 pregiudicando il livello e la qualita' dell'esercizio delle  funzioni
 e  dei  servizi). Infine perche' i tagli sono stati effettuati solo a
 carico delle regioni ad autonomia speciale e delle province  autonome
 di  Trento  e  Bolzano.  A  quest'ultimo  riguardo  non  si  puo' non
 osservare sin d'ora come il decreto-legge manifesti ancora una  volta
 un  atteggiamento  discriminatorio  del  Governo  nei confronti delle
 autonomie speciali di per se' inammissibile, e  comunque  tanto  piu'
 censurabile  per  il  fatto  che, in tal modo, la "specialita'" delle
 autonomie in questioni si traduce, anziche' - come deve essere  -  in
 un  arricchimento  di  tali  autonomie,  in  una  compressione  delle
 medesime,  che  e'   del   tutto   incompatibile   con   i   principi
 costituzionali.
    Pertanto la regione autonoma della Valle d'Aosta si vede costretta
 ad impugnare la suddetta disciplina legislativa per i seguenti motivi
 di
                             D I R I T T O
    1.   -   Violazione,  da  parte  dell'art.  19  del  decreto-legge
 impugnato, delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 2, 3 e 4, e
 del  titolo  terzo (spec. artt. 12 e 13, come modificati ed integrati
 dalle leggi 29 novembre 1955, n. 1179, e 26 novembre  1981,  n.  690)
 dello  statuto  speciale  della  Valle d'Aosta e delle relative norme
 d'attuazione, nonche' degli artt. 3, 32, 81,  97,  116  e  119  della
 Costituzione.
    Il   "taglio"  dei  finanziamenti  (per  riduzione  o  esclusione)
 disposto dalla disciplina legislativa impugnata  a  carico  dell'ente
 ricorrente  assume  particolare  gravita' per quanto riguarda i fondi
 relativi a prestazioni sanitarie: sia per l'entita'  dei  tagli,  sia
 per la essenzialita' e peculiarita' dei servizi su cui essi finiscono
 per incidere. Conviene dunque partire dall'art. 19 del  decreto-legge
 impugnato, il cui contenuto si e' gia' riportato in precedenza e che,
 come si e' visto, riduce del 20% le assegnazioni alla  regione  della
 parte  corrente  del  Fondo  sanitario  nazionale, di cui all'art. 51
 della legge n. 833/1978.
    Un  aspetto  essenziale  della  disciplina  contenuta nell'art. 19
 impugnato - che, come poi si vedra', ricorre anche negli artt.  18  e
 20,   ma   che   per  la  spesa  sanitaria  di  cui  all'art.  19  e'
 particolarmente evidente - sta nel fatto che con tale  disciplina  lo
 Stato  riduce  alla  regione  le  risorse  che  ad essa sono peraltro
 necessarie al fine di effettuare prestazioni di servizi e correlative
 spese  obbligatorie  per  la regione stessa: prestazioni e spese, del
 tutto "rigide" nella loro entita'  e,  comunque,  non  dipendenti  da
 autonome  scelte  regionali,  ma  piuttosto  da  determinazioni dello
 Stato.
    In  altri  termini,  con  tale  disciplina  si pone a carico della
 regione la spesa sanitaria senza  che  pero'  la  regione  abbia  gli
 strumenti  per  controllarla  e  tanto  meno  ridurla; e quindi la si
 costringe a coprire il deficit risultante da tagli nei  trasferimenti
 del  Fondo  sanitario  destinando a tali spese le risorse proprie che
 debbono quindi essere distolte dai  loro  impieghi,  cosi'  riducendo
 altri  tipi  di  interventi  regionali, ostacolando l'esercizio delle
 normali   funzioni   della   regione,   impedendole   una   razionale
 programmazione degli interventi, sconvolgendo le stesse previsioni di
 bilancio.
    Che la regione non abbia effettivi poteri di controllo sulla spesa
 sanitaria e' cosa sin troppo nota per  indugiare  qui  ad  analitiche
 dimostrazioni.   Salvo  ritornare  sul  punto  in  ulteriori  scritti
 difensivi,  basti  per  ora  richiamare  alcuni  esempi.  Per  quanto
 riguarda  le  funzioni  ospedaliere, sia i livelli retributivi che in
 genere il trattamento del personale non dipendono dalla  regione  (ma
 sono  regolati  da  accordi  stipulati a livello nazionale); anche le
 spese per acquisti di beni  e  servizi  dipendono  essenzialmente  da
 necessita'  obiettive  e  dal livello dei prezzi. Per quanto riguarda
 l'assistenza farmaceutica spetta allo Stato il controllo  sui  prezzi
 dei  prodotti farmaceutici, l'inserimento nel prontuario terapeutico,
 la disciplina dei  tiket.  Anche  per  quanto  riguarda  l'assistenza
 specialistica  e la medicina di base e' a livello statale che vengono
 predisposte le convenzioni con  i  medici  privati.  Cosi'  come,  in
 genere,  e'  sempre  a  livello  statale  che  vengono  stabiliti gli
 standards dei servizi sanitari.
    Tutto  cio',  del  resto,  e'  ben noto a codesta ecc.ma Corte, la
 quale gia' in passato (sentenza n. 245/1984, e poi  n.  452/1989)  ha
 rilevato  come  "non  si  puo'  presupporre  'che  le amministrazioni
 regionali portino (. . .) l'effettiva responsabilita' degli eventuali
 disavanzi  delle  u.s.l.', in quanto gran parte della spesa sanitaria
 e, fra questa, gli oneri derivanti  dalle  prescrizioni  mediche,  si
 formano  indipendentemente  dalle  scelte  regionali  (e dalle stesse
 deliberazioni degli organi di gestione delle unita' saniarie locali),
 essendo   prevalentemente   legati   al  soddisfacimento  di  diritti
 costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente  a  scelte  di
 ordine   generale   degli   organi   centrali   di   governo  dettate
 dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i  cittadini".
 Ed  ha  poi  ribadito  (sentenza  n.  452/1989) che la garanzia della
 autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non
 possano  essere  addossati  al bilancio regionale (o provinciale) gli
 oneri derivanti da decisioni non imputabili alla  regione  stessa  (o
 alla  provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di
 tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali  dei  cittadini,
 la  cui  cura e' affidata dalla Costituzione soltato in parte - e che
 certo quella essenziale - alla regione".
    E' appena il caso di osservare, a questo punto, che il senso delle
 osservazioni che precedono (e di quelle che seguiranno) non e'  certo
 quello  di  contestare la necessita' di un intervento dello Stato per
 il risanamento della spesa pubblica. Ne' si  ritiene,  evidentemente,
 che  le  regioni e le province autonome non debbano essere chiamate a
 sopportarne anch'esse l'onere in modo proporzionale. il  problema  e'
 piuttosto  un  altro.  Ed  e'  che  l'onere  non puo' essere caricato
 esclusivamente sulle regioni a statuto speciale e sulle due  province
 di  Trento  e  Bolzano. E che se il Governo vuole risanare il deficit
 della spesa sanitaria lo dovra' fare, in primo luogo, riformandone in
 modo  organico - come e' di sua competenza - le strutture, i servizi,
 gli standards, la disciplina del personale del servizio sanitario, il
 tutto  in  modo  da  ridurre  le  spese;  e  solo a seguito di questo
 riducendo poi i relativi trasferimenti a tutte le regioni. Non invece
 - come pretenderebbe di fare il Governo con la disciplina impugnata -
 lasciando immutate la regolamentazione  del  servizio  e  la  entita'
 degli  oneri,  e  pero'  riducendo i relativi finanziamenti alle sole
 regioni a statuto speciale e province autonome, e  quindi  scaricando
 su  di  esse  (e  solo  su  di  esse) il costo e le conseguenze della
 manovra finanziaria.
    Una  siffatta  disciplina, che attribuisce alla regione ricorrente
 la responsabilita' della spesa per un servizio volto a soddisfare  un
 diritto  costituzionale  dei cittadini, senza fornire pero' ad essa i
 mezzi finanziari necessari, ne' strumenti rilevanti per il  controllo
 ed  il  governo  della  spesa  stessa,  viola dunque, ad un tempo, il
 principio costituzionale di  ragionevolezza  e  quello  di  autonomia
 finanziaria della regione, specie (ma non solo) in materia di sanita'
 (art. 3, lett. b), e titolo secondo dello statuto, nonche'" leggi  n.
 1179/1955  e  n.  690/1981); ed al tempo stesso viola il principio di
 copertura finanziaria stabilito dall'art.  81,  quarto  comma,  della
 Costituzione.  Un  principio, quest'ultimo, che si estende anche alle
 spese accollate dallo Stato  agli  enti  del  c.d.  settore  pubblico
 allargato,  e del quale e' puntuale espressione l'art. 27 della legge
 5 agosto 1978, n. 468, secondo cui "Le leggi  che  comportano  oneri,
 anche  sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci degli enti
 di cui al pecedente art. 25 devono contenere la revisione  dell'onere
 stesso  nonche' l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai
 relativi bilanci annuali e pluriennali".
    La  fondatezza  di  tali  censure  trova  sostegno,  invero, nella
 giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che  in  piu'  occasioni  (ma
 spec. con le gia' citate sentenze n. 245/1984 e n. 452/1989), proprio
 facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e  la
 responsabilita'    della    relativa    spesa    ha   dichiarato   la
 incostituzionalita' di norme legislative  statali  con  le  quali  si
 veniva  a  far  gravare  sui  bilanci  delle regioni e delle province
 autonome (senza disporre i corrispondenti  trasferimenti  di  risorse
 finanziarie)  spese  necessarie  per  il  funzionamento  del Servizio
 sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro  a
 tali  enti,  o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo
 le regioni stesse (e le province autonome)  a  prelevare  le  risorse
 necessarie  a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8
 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o  dalle
 corrispondenti  entrate  di  parte  corrente  previste dai rispettivi
 ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale  e  le  province
 autonome) o comunque dalla finanza "propria".
    Riassumendo.    La   disciplina   stabilita   dall'art.   19   del
 decreto-legge impugnato e' dunque incostituzionale, in  primo  luogo,
 perche' essa viola il principio della copertura della spesa stabilita
 dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, come  esplicitato  ed
 attuato  anche  dall'art.  27 della legge n. 468/1978, in quanto essa
 accolla  alla  regione  ricorrente  nuove  spese  senza  prevedere  e
 fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte.
    Cosi'  facendo  la  disciplina  impuganta  viola, al tempo stesso,
 l'autonomia finanziaria della regione in materia - in primo luogo  di
 sanita'  (artt.  3, lett. 1), e titolo secondo dello statuto, nonche'
 leggi n. 1179/1955, n. 690/1981, ed art. 119 della Costituzione);  ma
 anche  nelle  altre  materie di competenza propria (artt. 2 e 3 dello
 statuto). Cio' in quanto tale disciplina,  senza  tenere  minimamente
 conto  delle esigenze di coordinamento della spesa statale con quella
 regionale, scarica sul bilancio della regione spese di cui  essa  non
 ha  il  governo, e che non possono da essa essere sostenute altro che
 stornando proprie risorse finanziarie destinate ad altri settori;  e,
 quindi, riducendo le capacita' di spesa e di intervento della regione
 anche nelle altre materie di propria competenza.
    Tale  disciplina appare ancora incostituzionale sotto un ulteriore
 profilo,  per  violazione  anche  degli  artt.  3,  32  e  116  della
 Costituzionale. In modo del tutto irrazionale ed ingiustificato essa,
 infatti, discrimina due volte la regione ricorrente. In primo  luogo,
 e soprattutto, nei confronti delle regioni ad autonomia ordinaria che
 non subiscono riduzioni di assegnazioni di quote del Fondo  sanitario
 di  parte  corrente;  ma  gia'  si  e'  detto  all'inizio  come  tale
 disciminazione in peius,  oltre  che  inammissibile  in  se',  e'  in
 contrasto  proprio  con  le  ragioni della specialita' dell'autonomia
 della regione ricorrente, sancita in primo luogo dall'art. 116  della
 Costituzione.  Una seconda volta, poi, la discriminazione viene fatta
 dalla disciplina impugnata - sempre in modo del  tutto  arbitrario  -
 nei   confronti   delle  regioni  Sicilia,  Friuli-Venezia  Giulia  e
 Sardegna, per le quali e' stabilita  una  riduzione  di  assegnazione
 assai minore (la meta', o addirittura un quarto).
    In tal modo, si bandi, non si discimina irragionevolmente solo fra
 enti, ma fra gli stessi cittadini  italiani,  a  seconda  della  loro
 residenza.  Poiche'  mentre  essi hanno tutti, egualmente, un diritto
 costituzionalmente garantito ad un eguale  trattamento  sanitario  da
 parte  delle  strutture  pubbliche, viceversa la disciplina impugnata
 (per quanto le regioni  e  province  autonome  da  essa  discriminate
 possono  cercare  di  far fronte ai nuovi oneri della spesa sanitaria
 trasferendovi altre risorse) non potra' non riflettersi negativamente
 sulla  funzionalita'  e  qualita'  dei  servizi  resi dalle strutture
 sanitarie  della  regione  ricorrente,  dando  cosi'  luogo  ad   una
 ingiustificata differenziazione di trattamento a scapito di cittadini
 della regione stessa.
    Infine,  le stesse considerazioni fatte da ultimo evidenziano come
 la disciplina in questione determini, altresi', una violazione  degli
 artt.  3  e  97  della  Costituzione, pregiudicando il buon andamento
 della  amministrazione  regionale  e  dei  servizi  pubblici  di  sua
 competenza.
    2.  -  Violazione,  da parte degli artt. 18 e 20 del decreto-legge
 impugnato, delle attribuzioni regionali e dei principi  di  cui  alle
 norme costituzionali gia' indicate in precedenza.
    2.1.  -  Non  e'  solo  l'art.  19  del  decreto-legge impuganto a
 riguardare la spesa sanitaria, ma anche l'art. 18 e l'art. 20.
    Quest'ultimo,  in particolare, alla lettera e) addirittura esclude
 totalmente la regione ricorrente  dal  riparto  del  Fondo  sanitario
 nazionale  per  cio'  che riguarda le assegnazioni in conto capitale:
 quindi per il finanziamento di tutta la spesa sanitaria relativa, fra
 l'altro,  alla  manutenzione  straordinaria  delle  strutture,  degli
 impianti e delle attrezzature sanitarie,  al  rinnovo  degli  stessi;
 allo sviluppo ed agli investimenti.
    Quanto  poi  all'art. 18, primo comma, si e' gia' visto come anche
 questo stabilisca la esclusione della  regione  ricorrente  da  fondi
 concernenti  la  spesa  sanitaria:  come  il  Fondo per i servizi dei
 consultori familiari (di cui alle leggi nn. 405/1975 e 194/1978), che
 svolgono  in  particolare  anche il servizio di assistenza alla donna
 che voglia interrompere la gravidanza.
    E'  palese  come tutte le censure gia' formulate in precedenza nei
 confronti della disciplina contenuta nell'art. 19  del  decreto-legge
 impugnato  valgono,  a  maggior  ragione,  anche  nei confronti degli
 ulteriori tagli al  finanziamento  della  spesa  sanitaria  stabiliti
 dalle  surrichiamate disposizioni dell'art. 18. Anche in questo caso,
 infatti, si tratta di tagli al finanziamento di spese  ed  oneri,  in
 relazione  ai quali la regione non ha poteri rilevanti di scelta o di
 controllo, pur dovendo necessariamente farvi fronte  caricandoli  sul
 proprio bilancio.
    Pertanto  si richiamano integralmente le censure ed argomentazioni
 svolte nel precedente motivo di ricorso, relative alla violazione:
       a)  del  principio della copertura della spesa ex art. 81 della
 Costituzione (ed art. 27 della legge n. 468/1978);
       b)  dall'autonomia  finanziaria  della regione nelle materie di
 competenza in base alle norme costituzionali gia' richiamate,  ed  in
 particolare  in  materia  di  assistenza e di sanita' (spec. artt. 3,
 lettere i) ed l), 4, e titolo secondo, dello statuto,  nonche'  leggi
 nn. 1179/1955 e 690/1981);
       c)  degli  artt.  3,  32,  97 e 116 della Costituzione, sotto i
 profili gia'  illustrati,  per  le  irragionevoli  discriminazioni  e
 disfunzioni cui da' luogo la normativa in questione.
    2.2. - Ancora per quanto riuarda la disciplina stabilita dal primo
 comma dell'art. 18 del  decreto-legge  impugnato,  merita  di  essere
 particolarmente sottolineata la esclusione che pure vi e' disposta, a
 carico della regione ricorrente, dal riparto del fondo nazionale  per
 il  ripiano  dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di
 cui all'art. 9 della legge n. 151/1981. Come gia'  si  e'  visto,  lo
 stesso  primo  comma  dell'art.  18  aggiunge che le regioni dovranno
 provvedere alla concessione dei contributi alle aziende di  trasporto
 (per  il  ripiano dei disavanzi) "con propri mezzi finanziari"; e che
 restano fermi per  le  regioni  i  principi  di  cui  alla  legge  n.
 151/1981:  fra  cui,  dunque,  quello  che  impone  alle  regioni  di
 intervenire per ripianare (almeno in parte) i disavanzi delle aziende
 di trasporto (artt. 6 e 9 della legge n. 151/1981).
    Tale  disciplina, dunque, incide particolarmente in una materia di
 competenza regionale di grado primario, quale e' quella in materia di
 trasporti  di  interesse regionale di cui all'art. 2, lett. h), dello
 statuto ed all'art. 53 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182 (oltre che
 in  quella  concorrente  in  materia di servizi pubblici di interesse
 regionale, ex art. 3, lett. o), ed art. 53, del d.P.R. n.  182/1982).
 Anche  questa  disciplina  addossa  alla regione un nuovo onere senza
 pero' fornirle le risorse per fronteggiarlo.
    Pertanto   anche   nei   confronti   di  tale  disciplina  valgono
 integralmente le censure gia' formulate in precedenza, e che  non  e'
 il caso di ripetere ancora.
    Infatti,  anche  in questo caso ci si trova di fronte ad una spesa
 che attiene (come per il servizio sanitario) all'espletamento  di  un
 servizio  pubblico essenziale quale e' quello dei trasporti diretto a
 soddisfare  -  direttamente  od  indirettamente  -  rilevanti  valori
 costituzionali   (quali   quelli  che  garantiscono  il  diritto  dei
 cittadini ad avere mezzi idonei per circolare sul  territorio,  anche
 per  motivi di lavoro, e per l'esercizio di attivita' economiche). Un
 servizio il  cui  espletamento  la  regione  e'  dunque  obbligata  a
 garantire,  pur  avendo  poteri  assai  limitati  di  controllo sulla
 relativa spesa, specie se si considerano  i  poteri  dello  Stato  in
 ordine alla determinazione delle tariffe (cfr. d.-l. 4 marzo 1989, n.
 77, convertito in legge 5 maggio 1989, n. 160).
    Di conseguenza, per i motivi gia' illustrati in precedenza, non e'
 costituzionalmente  corretto  addossare  alle   (sole)   regioni   ad
 autonomia  speciale  -  escludendole  dal riparto dell'apposito Fondo
 nazionale - l'onere  di  ripianare,  esclusivamente  con  le  finanze
 proprie,  i  disavanzi  delle  aziende  di trasporto in questione. La
 incostituzionalita'  della  disciplina  impugnata  trova  del   resto
 conferma  in  quanto  affermato  in argomento da codesta ecc.ma Corte
 nella sentenza n. 307/1983 (n. 15 della motivazione in diritto),  che
 pure  dichiaro'  incostituzionale una analoga norma legislativa dello
 Stato che obbligava le regioni a ripianare i  deficit  delle  aziende
 locali  di  trasporto  attingendo  alle  proprie finanze (anziche' al
 Fondo nazionale di cui alla legge n. 151/1981).
    2.3.  - Infine, come pure si e' visto, l'art. 18, primo comma, del
 decreto-legge  impugnato  esclude   la   regione   ricorrente   dalle
 erogazioni  provenienti  dal  fondo  speciale  per  l'esercizio delle
 funzioni della soppressa O.N.M.I. (legge n. 698/1975) e dal fondo per
 gli   asili   nido   (legge   n.  891/1977);  mentre  l'art.  20  del
 decreto-legge impugnato, alle lettere da a) a d) esclude  la  regione
 ricorrente  da  altri fondi di settore (oltre che da quello sanitario
 di conto capitale, di cui e' gia' detto in precedenza).
    Orbene, per quanto riguarda la esclusione della regione dal "fondo
 per gli investimenti nel settore dei trasporti pubblici locali" (art.
 20,   lett.   d),   valgono,   evidentemente  le  stesse  censure  ed
 argomentazioni gia' svolte in precedenza (n. 2.2.) a proposito  della
 esclusione  dal  fondo  per il ripiano dei disavanzi delle aziende di
 trasporto.
    Ma  anche  per  quanto riguarda la esclusione dagli altri fondi di
 cui al primo comma dell'art. 18, come pure da quelli di cui  all'art.
 20  (per  i  programmi  regionali di sviluppo, per l'attuazione degli
 interventi programmati in agricoltura,  per  l'attuazione  del  piano
 forestale   nazionale)  -  pur  avendo  un  particolare  rilievo,  in
 relazione ai relativi interventi  regionali,  anche  ulteriori  norme
 statutarie  attributive  di competenze proprie della regione in varie
 materie (spec. artt. 2, lett. d), 3, lettere g) ed i) dello statuto e
 relative  norme  di  attuazione,  fra  cui  d.P.R.  n. 182/1982) - si
 possono formulare censure ed argomentazioni sostanzialmente  analoghe
 a  quelle  gia'  svolte  in  precedenza: specie in considerazione del
 fatto che si tratta di spese per interventi che la regione ricorrente
 e'  tenuta  a  svolgere  per  soddisfare  alle  finalita' di pubblico
 interesse ad esso affidate dallo  statuto  e  dalle  leggi,  e  della
 irragionevole  discriminazione  operata  a suo danno dalla disciplina
 impugnata, che ammette invece al riparto  del  fondo  le  regioni  ad
 autonomia ordinaria.
    3.  -  Violazione  delle  attribuzioni  e dei principi di cui alle
 disposizioni costituzionali gia' indicati.  Violazione  dell'art.  44
 dello statuto e relative norme d'attuazione.
    3.1.   -  Se  si  considera,  infine,  globalmente  la  disciplina
 impugnata del d.-l. n. 415/1989, e quindi l'entita' complessiva delle
 decurtazioni  alla  finanza derivata della regione ricorrente, che da
 tale disciplina conseguono, emerge allora  un  ulteriore  e  connesso
 profilo  di  incostituzionalita'  che  viene anch'esso dedotto con il
 presente atto.
    Infatti,  la  decurtazione complessiva e' di circa 70 miliardi. Se
 si considera che il bilancio preventivo 1990 della regione ricorrente
 e' di circa 900 miliardi ne risulta una decurtazione di circa l'8%.
    Orbene,  e'  vero  che  le norme costituzionali non definiscono in
 termini quantitativi  quale  debba  essere  l'entita'  delle  risorse
 finanziarie da attribuire alle regioni e province autonome. Ma - come
 in altra occasione rilevato da  codesta  ecc.ma  Corte  (sentenza  n.
 307/1983),   il   rispetto  dell'autonomia  finanziaria  regionale  e
 provinciale impone al legislatore  statale  -  quando  questi  riduca
 l'entita'  dei  trasferimenti  finanziari  alle  regioni  e  province
 autonome - di evitare che venga "gravemente  alterato  il  necessario
 rapporto  di complessiva corrispondenza (...) fra bisogni regionali e
 mezzi finanziari per farvi fronte, impedendo cosi'  alle  regioni  il
 normale  espletamento delle loro funzioni". Se, dunque, tale rapporto
 viene gravemente alterato dalla legge  dello  Stato  essa  e'  allora
 incostituzionale,  perche'  lesivo  dell'autonomia  finanziaria delle
 regioni e delle province autonome. Ma e' appunto questo il caso della
 disciplina  qui impugnata, ove appunto si consideri la enttita' della
 decurtazione di risorse finanziarie da essa disposta.
    3.2.  -  Specie se si ha presente quanto da ultimo osservato circa
 la rilevanza anche in  termini  quantitativi  della  decurtazione  di
 risorse finanziarie operata dalla disciplina impugnata a carico della
 regione ricorrente, ne risulta con evidenza anche un ulteriore motivo
 di incostituzionalita'.
    La  disciplina impugnata, infatti, riguarda soltanto le regioni ad
 autonomia speciale e le province di  Trento  e  Bolzano.  Non  vi  e'
 dubbio,  quindi,  che  si  tratta  di  una  disciplina  che "riguarda
 particolarmente" la regione ricorrente. Pertanto, ai sensi  dell'art.
 44,  ultimo  comma, dello statuto, il presidente della regione doveva
 essere convocato  per  intervenire  alla  seduta  dal  Consiglio  dei
 Ministri   del   22   dicembre  1989,  in  cui  venne  deliberato  il
 decreto-legge impugnato (cosi'  come  esso  era  stato  doverosamente
 invitato  a  partecipare  al  Consiglio dei Ministri del 29 settembre
 1989 per la deliberazione del disegno di legge  "di  accompagnamento"
 alla  legge finanziaria 1990 - intitolato "Norme di delega in materia
 di  autonomia  impositiva  delle   regioni   e   altre   disposizioni
 concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni" - il cui
 contenuto e' stato poi ripreso dal decreto-legge impugnato).
    Ma  il presidente della giunta non e' stato convocato in occasione
 della  deliberazione  del  Consiglio   dei   Ministri   relativa   al
 decreto-legge  in  questione.  Cio'  comporta una puntuale violazione
 della norma  statutaria  e  dell'autonomia  regionale,  e  quindi  la
 incostituzionalita' della disciplina legislativa impugnata.